BORGO DEGLI ORTOLANI o EL BORG DI SCIGOLATT
Da borgo a città perché la Cascina sia luogo di memoria, cultura e rigenerazione urbana.
Lungo tutta via Canonica attraversando poi piazza Gramsci, proseguendo in via Pier della Francesca, per arrivare in piazza Firenze all’incrocio con via Cenisio.
Borgo degli Ortolani proprio qui, lontano nel tempo, scorrevano rogge e fontanili – quindi acqua a disposizione per innaffiare gli orti tutt’attorno alle numerose cascine che si erano moltiplicate nella zona. E dagli orti una consistente produzione di verdure, in particolare una sorta di specializzazione nella coltivazione delle cipolle. E fin dall’alba i carretti carichi di ortaggi freschi a girare da un punto all’altro della città, con gli ortolani infine desiderosi di sciacquarsi la gola con una sosta nelle osterie; come quella di un certo Virgilio Savini proveniente da Cuvio nel varesotto, colui che aprirà poi il Ristorante Savini in Galleria, ai cui tavoli affluiranno l’alta borghesia, l’aristocrazia, gli artisti famosi come Eleonora Duse, i fratelli Boito, Mascagni, Puccini, Mosè Bianchi. Sino a vedersi conferire il titolo di Cavaliere della Corona per “aver dotato la città di un ristorante di fama mondiale”.
Non lontano dal borgo degli Ortolani, anche i campi di granoturco “el melgasc”, in quell’area oggi identificabile con via Mac Mahon, e intorno a questi qualche trattoria…
È domenica mattina e la trattoria Melgasciad (attuale area Mac Mahon-Musocco) – che deve il suo nome ai campi di granoturco circostanti, la stoppia del granoturco si chiama “melgasch” in dialetto – è già piena di avventori. Un bicchiere di vino e soprattutto il racconto del cantastorie. Racconto parlato perché il cantastorie della Merlasciada non sa cantare, non sa suonare, e allora parla e colora la sua narrazione con gesti che evocano gli episodi cruenti dipinti sulle pareti della trattoria. In una decina di affreschi sono state immortalate le gesta di due banditi vissuti nel tempo in cui c’era ancora il bosco lì intorno, il bosco della Merlata. E il cantastorie illustra le immagini e racconta, racconta… che in questo punto preciso della città non c’erano come ci sono oggi questi bei campi di granoturco.
Niente affatto signori, c’era un bosco. Lo vedete? Un bosco da far paura. Alberi dai tronchi possenti, che ci volevano tre uomini per abbracciarli, con rami nodosi, alti verso il cielo, alberi e rami neri nella notte nera. E nell’oscurità, i rumori degli animali, il sibilo del vento.
Alcuni, coraggiosi o incoscienti, lo attraversavano il bosco di notte. Per necessità estrema o per sprezzo della paura. Ma sia gli uni sia gli altri, erano attesi. Già, c’era chi nell’oscurità se ne stava acquattato per meglio sorprendere gli sventurati. Due briganti: Giacomo Legorino e Battista Scorbino, feroci capi di una banda di ottanta uomini. Sì, signori, ottanta uomini pronti a tutto pur di rubare, depredare le altrui ricchezze.
Il bosco della Merlata diventa in quel tempo spietato, il bosco della paura.
Vedete signori? Pugnalati gentiluomini a cui viene strappata la borsa delle monete d’oro, scaraventate giù dalla carrozza graziose dame subito derubate di anelli e collane, e alle loro urla disperate, schiaffeggiate, strappate le loro vesti.
Poi via, la fuga a cavallo sino al limitare del bosco dove la banda aveva i suoi nascondigli, una fitta rete di cunicoli sotto il bosco, fino ad arrivare a una specie di grotta molto, molto vasta, dove vivevano delle loro razzie e dove nascondevano molti tesori di cui si erano appropriati con la violenza.
Ma bisogna dire il vero, avevano anche un cuore generoso i banditi: infatti, come potete vedere, dividevano il bottino in parti uguali con gli abitanti più poveri della zona; e allora le madri potevano comperare da mangiare ai loro bambini, gli uomini e le donne potevano avere panni caldi per affrontare l’inverno anziché tremare nei loro laceri stracci. Dio li benedica, i due banditi dal cuore d’oro! Ma c’è una giustizia terrena alla quale si deve rispondere.
Giacomo Legorino e Battista Scorbino vengono arrestati e torturati, e alla fine confessano. È vero, sono proprio loro i capi della banda, in ottanta hanno commesso trecento omicidi.
Trecento omicidi? Signori, la tortura fa aumentare i propri peccati. I due briganti saranno messi al rogo in località Cagnola nell’anno 1566.
Ma vedete, signori? Qualcuno piange per loro, qualcuno li ricorda nelle orazioni; è la povera gente della zona.
E così finisce la triste storia dei due fuorilegge che rubavano ai ricchi per dare ai poveri.
E al povero cantastorie, che con benevolenza avete ascoltato, vorrete ora dare un sorso di buon vino!