È arrivato a Milano il Monaco Bernardo, per benedire e inaugurare una piccola modesta chiesetta fuori Porta Romana, la futura Abbazia di Chiaravalle.
Ufficialmente aperta al culto quel giorno di Luglio, il 22 dell’anno 1135.
L’inizio della costruzione si deve ai Monaci pionieri che avevano costruito la chiesetta, prosciugato gli acquitrini, trasformato la terra inospitale rendendola feconda di grano e ortaggi. Avrebbero in futuro realizzato una efficientissima organizzazione agricola accanto al complesso monastico, anche con animali da cortile pecore, capre, maiali e le arnie per le api.
Dapprima i Monaci Benedettini poi i Cistercensi come il Monaco che racconta:
“Desiderio. Questo fu ed è il mio nome. Della nostra casa vuoi sapere? La chiesa, edificio principale. Un chiostro con giardino e porticato. La Sala del Capitolo dove l’abate teneva le riunioni relative alla nostra vita pratica. I locali del noviziato. Il dormitorio. L’infermeria. La cucina con accanto dispense e refettorio. C’era poi l’ostello per l’accoglienza dei pellegrini e gli ambienti adibiti alle tante attività del monastero”
Il Monaco Desiderio ha visto un confratello attraversare il cortile; lo chiama e l’altro si affretta.
“Eccoti Onofrio, vieni a raccontare del tuo liquore”.
“Abbiamo un orto coltivato a verdure e vi sono anche erbe aromatiche e erbe medicinali. Io mi occupo dei liquori che distillo traendo l’essenza dalle piante. Liquori che sono toccasana per la salute e gioia per il palato. Ora ne ho distillato uno particolare: una ricetta che arriva da molto lontano. Si chiama Alchermes, è una parola che deriva dall’arabo al-qirmiz che vuol dire cremisi, perché questo è il suo colore, una tonalità che ravviva il desco. Tanti ingredienti a dargli vita: vaniglia, cannella, coriandolo, chiodi di garofano, fiori di anice, cardamomo, scorza d’arancia e cocciniglia.
La cocciniglia è un insetto, se lo si lascia essiccare e lo si tritura colora il distillato che diventa scarlatto. Prima di poter bere l’Alchermes si deve lasciare riposare per due settimane. È un liquore dolce, ha un sapore particolare che gli è dato dalle spezie, racconta una storia di terre lontane.”
Qui nell’Abbazia di Chiaravalle si conserva il patrimonio delle Sacre Scritture grazie al lavoro di scrittura manuale dei codici in pergamena.
“Sono Ugo, maestro amanuense. La pergamena si ricava dalla pelle della pecora o della capra ed è lungo il procedimento per renderla pagina su cui scrivere; i foglio poi formeranno i quaderni, fascicoli costituiti da quattro fogli; più fascicoli cuciti insieme con una sovracoperta che può essere di cuoio o di lamine d’oro e d’argento intagliate, e si realizza un Codice. Nella nostra comunità monastica i libri compiono la loro parabola: dalla realizzazione, all’uso, alla conservazione in biblioteca in ampi armadi su cui scaffali sono poggiati i Codici che possono arrivare ad essere grandi come la dimensione di braccia d’uomo aperte.
È preziosa l’opera dello Scriptor devotus che deve avere pazienza, precisione, occhio attento e mano ferma.”
I Monaci dell’Abbazia di Chiaravalle si accomiatano.
Entrano in chiesa in fila, prendono posto, le candele ne illuminano fiocamente i volti, il coro guida le orazioni.