Don Giovanni ha dunque una personalità prorompente che non teme di misurarsi con uno spirito vendicativo che proviene dall‘oltretomba, pur di godere dei piaceri d‘un gran seduttore. Penso che quest’Opera sia il ritratto di Mozart, uomo di mondo, che si nascondeva sotto i tavoli dei banchetti con avvenenti compiacenti fanciulle. E penso che rispecchi anche fedelmente la vita di Da Ponte a cui andavano a genio le sedicenni servette.
Sento la voce di Vincenzina che mi arriva come ovattata, mi riscuoto. “ Carlo, vieni. I signori Grancini chiedono se ci accomodiamo vicino a loro. Carlo!”
Mia moglie è in piedi, frettolosa, vuole raggiungere i conoscenti prima che si apra il sipario. Già, siamo alla Scala, rigiro fra le mani il cartoncino che ci è stato consegnato nell’atrio d’ingresso.
La Scala, Don Giovanni, Mozart. Ma come ci sono finito dentro la storia del risotto giallo? Tanto da immaginarla nei dettagli, quest’invenzione così ghiotta, come ce la racconta la nostra tradizione? È chiaro, ecco il perché. Appena entrati a Teatro ho sentito il profumino del risotto, il mio piatto preferito, e così non appena mi sono accomodato mi sono ritrovato a fantasticare. Del resto, il risotto milanese e la Scala rappresentano una unione indissolubile.
Nel retro dei palchi i servitori lo cucinano e nei palchi i signori lo mangiano. Questo quando non giocano d’azzardo, o non puntano gli occhialini sugli altri spettatori o più piacevolmente sulle signore spettatrici; o non si rendono visita gli uni agli altri come ben sa il mio amico Foscolo, per lui i palchi della Scala sono le alcove delle sue amanti. Insomma quasi tutti volgono la schiena al palcoscenico eccetto quando viene eseguita un’aria che è di moda ascoltare e alla musica si presta orecchio solo quando la conversazione cessa di interessare e il risotto giallo è stato gustato in abbondanza .
Seguo Vincenzina, intorno a noi un brusio, risatine e un accavallarsi di voci, non comprendo frasi complete solo parole da destra e da sinistra che escono da bocche che si aprono e si chiudono continuamente come se vivessero di vita propria, come se fossero obbligate a sconfiggere definitivamente il silenzio.
Poi qualcuno mi afferra il gomito mi costringe a voltarmi e inizia il balletto delle riverenze “Signor Carlo Porta, da tempo non vi si vede alla Scala, come state?” “E la signora consorte?” “E i figli?” domande ripetute più volte mentre io cerco di nascondermi dietro Vincenzina, mia moglie è molto più brava di me, lei saluta con garbo, bacia le signore amiche sulle guance, china il capo con eleganza al saluto dei signori conoscenti; io invece preferisco tenermi in disparte , aver tutto il mio agio per osservare il rito del saluto ossequioso che gli umani si scambiano nelle occasioni mondane.
Ecco laggiù un mio povero amico sempre circondato dal soffocante matroneo composto dalla consorte, dalla suocera , dalle cognate, tutte cinguettanti; ed ecco un direttore generale di non ricordo quale istituzione che tronfio del suo potere sembra fendere l’assembramento come si trattasse delle acque del Mar Rosso. Ma qualcuno sta ammiccando con fare complice verso di me “Siete la salvezza” penso. Si tratta di un vicino di casa, abita anche lui in Contrada del Monte a qualche portone di distanza dalla nostra abitazione. Mi fa cenno di raggiungerlo al suo palco, lo seguo come un naufrago a cui venga offerta una zattera, a mia moglie faccio capire che non posso esimermi. Percorro il corridoio ornato da velluti, dorature, stucchi.
Ci sediamo. Che bellezza, sul tavolino approntato all’uopo due fondine colme di risotto giallo fumante. Affondiamo le forchette. Non è la felicità, irraggiungibile meta per noi mortali gravati dal peso della vita, ma sicuramente è la gioia. Questo si, gioia, quella che si prova dinnanzi a piccoli episodi che migliorano le ore e dispongono l’animo alla bonomia.
Che tu sia laicamente benedetto, Zafferano, che ci hai consegnato il risotto giallo, gran piatto nei secoli dei secoli!