Il Circuito Aereo Internazionale del 1910, a Taliedo, ebbe un’enorme risonanza. Evento tecnico, sportivo e mondano. Attrezzata per il volo, una vasta zona agricola confinante con il prolungamento di Corso XXII Marzo, con il borgo di Monluè, con la vecchia strada del borgo di Morsenchio.
In breve tempo sorsero gli hangar, le officine per la manutenzione dei velivoli, i depositi della benzina e dei lubrificanti, i locali per i Vigili del Fuoco.
Nel 1911 venne aperta a Taliedo una “Scuola di Volo e Meccanica” e il campo di volo visse altre imprese aviatorie, compreso l’utilizzo del’ aeroplano quale mezzo pubblicitario: diecimila volantini della Cinzano lanciati sulla città dal milanese Angelo Bigliani.
Il Ministero della Guerra chiederà poi di poter insediare a Taliedo tre squadriglie di aeromobili appartenenti al Battaglione Aviatori di Torino.
L’insediamento militare crescerà ovviamente durante la guerra: fra il 1914 e il 1917 verranno costruiti diversi nuovi hangar, in legno, in muratura, strutture interamente metalliche, in cemento armato di dimensioni adatte ad accogliere i nuovi tipi di aeromobili per la squadriglie dislocate a Taliedo. Accanto alle strutture militari, verrà costruito un primo lotto industriale della Ditta Caproni.
Taliedo era decisamente migliore come soluzione logistica, soprattutto per la facilità di reperire numerosa manodopera.
Immagine consueta nella zona d’allora: sciami di operai in bicicletta che inondano le strade. Uomini che trovano lavoro, il loro numero sempre in crescita. Gli operai delle officine Caproni (dove fra l’altro si assemblavano i biplani e triplani da bombardamento che furono i più grandi aerei dell’epoca) passarono dai 150 del 1915 ai 2.300 del 1918.
“Ho assistito in Piazza d’Armi alle evoluzioni di Leon Delagrange sul suo biplano, Ho deciso.
Questa è anche la mia vocazione, Voglio diventare pilota d’aeroplano!”
Chi confida questo sogno alle pagine del diario è Rosina Ferrario, in quel 1908 neppure ventenne. Due anni dopo, il Circuito Internazionale Aereo a Taliedo le infiamma il cuore, così come inebria due futuri aviatori, grandi nomi d’altri campi: Gabriele d’Annunzio e Filippo Tommaso Marinetti. Nel 1911 Rosina Ferrario inizia a frequentare la “Scuola di Volo” di Taliedo.
“Le agili evoluzioni dei monoplani, i più pesanti voli dei biplani: tutto mi affascina. Voglio andare lassù, verso il cielo, rapida, libera di godermi lo sconfinato orizzonte, di sognare nel grande blu”.
E ci riuscirà, la Rosina, a coronare il suo sogno. Prima donna italiana, ottava nel mondo, a conseguire il brevetto di pilota d’aeroplano. Era il 3 gennaio 1913.
Nel 1921 si sposerà con Enrico Grugnola e con il marito si occuperà dell’Hotel Italia, il loro albergo in Piazzale Fiume a Milano. Un’attività soddisfacente, una bella famiglia, due figli. E soprattutto e per sempre, nella mente e nel cuore, la gioiosa, entusiasmante memoria dei suoi giovani anni, di quei giorni esaltanti dell’aviazione eroica milanese.
La memoria nitida della certezza. Certa lei, infatti, ancora ragazzina, fin nelle fibre più profonde, di essere nata perché scelta: scelta fra le migliaia e migliaia di un concepimento, perché sognasse e poi realizzasse il segreto rito di un dono speciale: volare.
Perché sapesse decifrare il significato autentico della sua vita in quella passione assoluta, coglierla fra i battiti del cuore, trovarla perfetta per sé nel ritmo e nel respiro del cielo.
Il cielo, il vento, la luce, la possibilità della contemplazione senza confini.
Nessun tentennamento, nessuna paura, la mente in armonia con le immagini splendide di un volo desiderato e possibile.
Nella sua persona dimora la dignità dell’appartenenza a un sogno, a una visione che anima il suo mondo interiore, una visione tanto forte da abbattere le mura dell’impossibile e diventare realtà.