La straordinaria lettera del Preside del Liceo Volta di Milano e l’invito a rileggere i Promessi Sposi.
Ritengo che in molti si siano sentiti sollecitati da questo suggerimento a riprendere le pagine eterne di Alessandro Manzoni.
Ripercorriamo insieme qualche frammento.
Un arco di anni lontani nel tempo: 1629 – 1633
Una tremenda epidemia: la peste, nome che non si deve, non si può pronunciare.
Il contagio viene portato dalle truppe tedesche penetrate in Valtellina per raggiungere Mantova e mettere la città sotto assedio.
E Milano, già provata da due anni di carestia che avevano lasciato la popolazione in estrema povertà e in stato di denutrizione, viene aggredita dal morbo.
Chi procura la spaventosa diffusione – colui che oggi verrebbe definito il Paziente Zero – è un soldato, tal Pietro Antonio Lovato che aveva comperato un fagotto di indumenti dai soldati tedeschi. Arrivato a Milano, chiede alloggio a certi suoi parenti che abitavano in Porta Orientale (odierno Corso Venezia). Improvvisamente si ammala, e in pochi giorni muore. I medici avevano scoperto un bubbone sotto una sua ascella, segno inconfondibile della malattia.
“Sia come sia entrò questo fante sventurato e portator di sventura, con un gran fagotto di vesti comprate o rubate a soldati alemanni; andò a fermarsi in una casa di suoi parenti nel borgo di porta orientale vicino ai cappuccini. Appena arrivato s’ammalò; fu portato allo spedale, dove un bubbone che gli si scoprì sotto un’ascella mise chi lo curava in sospetto di ciò ch’era infatti: il quarto giorno morì.”
(I Promessi Sposi – Capitolo XXXI)
Il Tribunale di Sanità ordina di bruciare abiti biancheria suppellettili e internare al Lazzaretto tutti coloro che avevano avuto contatti con lui.
Ma questo non impedisce la diffusione del morbo, anche perché le autorità non si premurano di vietare, nel febbraio del 1630, il Carnevale e i festeggiamenti e i cortei con i carri che percorreranno gioiosamente le vie della città!
Poi sarà l’inferno della peste! Poi sarà l’orrore delle condanne dei cittadini milanesi sospettati di essere untori!
E più avanti (Capitolo XXXIV) troviamo Renzo testimone dell’episodio dolorosissimo e poetico al contempo, le pagine famose della madre di Cecilia.
“Renzo allungò il passo, quando il suo sguardo s’incontrò in un oggetto singolare di pietà, d’una pietà che invogliava l’animo a contemplarlo; in maniera che si fermò, quasi senza volerlo. Scendeva dalla soglia d’uno di quegli usci, e veniva verso il convoglio, una donna, il cui aspetto annunziava una giovinezza avanzata ma non trascorsa; e vi traspariva una bellezza velata e offuscata, ma non guasta, da una gran passione e da un languor mortale… Gli occhi non davan lacrime ma portavan segno d’averne sparse tante; c’era in quel dolore un non so che di pacato e di profondo… Portava essa in collo una bambina di forse nove anni, morta; ma tutta ben accomodata, co’ capelli divisi sulla fronte, con un vestito bianchissimo, come se quelle mani l’avessero adornata per una festa promessa da tanto tempo e data per premio…”