Lord Byron
SERATA DI GALA OSPITI DI LUDOVICO DA BREME
Nell’ottobre del 1816 sono arrivati a Milano importanti personalità straniere, e Ludovico da Breme ha organizzato una cena nel suo palazzo per festeggiarli e accogliere con i dovuti onori l’ospite più prestigioso, il più celebre poeta d’Europa, Lord Byron. Questo l’invito a uno dei milanesi più considerati, Vincenzo Monti:
Alcune circostanze di famiglia non mi lasciano nella settimana altro giorno che dimani, giovedì. Si cena alle ore sei. Tengo l’invito per accettato e v’abbraccio col più fervente affetto.
Per i romantici milanesi Vincenzo Monti è un mito; se ne ricordano le lezioni pavesi con l’aula presa d’assalto dagli studenti che irrompevano dalle porte e persino dalle finestre scavalcandosi gli uni gli altri. Quando poi parlava dell’amore di Dante per la patria e la libertà, era tale l’entusiasmo che sapeva destare nella elettrica gioventù, che tuoni d’applausi scoppiavano nella sala e poi fra le acclamazioni lo conducevano a casa. All’ammirazione non faceva velo l’instabile diagramma delle scelte politiche del poeta.
E’ la gran serata. Ludovico da Breme introduce l’ospite: “Signori, Lord Byron!”.
Ecco quell’uomo. Piuttosto piccolo, di cui si dice molto, e non molto bene. Aveva scandalizzato l’Inghilterra con l’abbandono di moglie e figlia, era stato accusato d’incesto con la sorellastra, aveva irritato il principe reggente satireggiandolo in modo sanguinoso. Proprio in quel 1816 aveva lasciato l’Inghilterra per sempre. Prima del suo arrivo in Italia, era stato a lungo a Ginevra, ospite di Madame de Staël, e lì aveva conosciuto Miss Claire Clermont, la sua nuova fiamma, che gli aveva dato una figlia. Rimaneva comunque il più celebre poeta d’Europa.
“Possiamo pregarvi almeno d’un verso, Lord Byron? Ascoltare anche solo un frammento di quanto produce il vostro ingegno…”.
“E sia, amici cari, sconosciuti ma amici per la vostra accoglienza, per questo attorniarmi con simpatia. Più tardi declamerò un breve momento del primo canto de Il Corsaro”.
Fra gli invitati alla cena, anche il giovane poeta Percy Bysshe Shelley con la moglie Mary, a sua volta autrice del romanzo Frankestein.
Mary Shelley indossa un abito di velluto blu scuro, è il modello più in voga, una veste-mantello che dalla vita scende e forma una lunga coda e la scollatura, bordata da margherite ricamate in color avorio, parte dalle spalle parzialmente scoperte e scende verso il seno in forma tondeggiante.
“Veramente bello l’abito che indossate” le rivolge il complimento la commensale più vicina mentre anche altre due signore annuiscono con garbo.
“Grazie, l’ho acquistato proprio qui a Milano, in un piccolo atelier molto grazioso, in un palazzo accanto al Teatro alla Scala; ne ho visto il disegno e me ne sono innamorata. Mi hanno anche presentata la ricamatrice alla quale affidano i ricami dei loro modelli; pensate, mi hanno detto che lei e le sue lavoranti ricamano tutti i panni liturgici dell’altare e tutti i paramenti dei sacerdoti per la chiesa di San Fedele”.
Racconto inedito di Giovanna Ferrante