I nativi di Milano di ambo i sessi sono di una struttura particolare; hanno aspetto sorridente e piuttosto benevolo; non ingannano; usano malizia meno degli altri popoli.
Vivono con decoro, ordine, larghezza, dignità, indossano vestiti onorevoli.
Ovunque si trovino, in patria e fuori, sono piuttosto liberi nello spendere, onorano e fanno onore, e sono urbani nel loro modo di comportarsi e di vivere.
(Bonvesin de la Riva – De magnalibus urbis Mediolani 1288)
Quando ci sono arrivato, bambino silenzioso e timido, nella primavera del 1952, la Bovisa era ancora la periferia industriale per eccellenza della città di Milano.
Alla Bovisa c’erano le fabbriche, le tute degli operai, un’atmosfera al tempo stesso umanissima e pesante, anonima e piena di speranza.
Ora, o meglio da qualche decennio, le fabbriche sono diventate desolato campo di rovine, archeologia industriale; suggestiva naturalmente, ma anche luogo e simbolo di abbandono, di oblio e di passato irrevocabile. Un’infilata di edifici morti.
(Maurizio Cucchi – La mia Bovisa – 2007)