La cucina medievale protagonista.
Cucina, Medioevo. Via Comacchio. L’hai sentito anche tu, vero, del ritrovamento nel corso di lavori di scavo per la sistemazione di tubature del gas, di una cassettina con racchiusi fogli che ci hanno riportato in piena epoca medioevale?
E così un altro tassello si aggiunge alla mia storia. Io certo non avevo bisogno del ritrovamento per ricordarmi di lei e del suo cibo, la più famosa fra le cuoche. Ha dato fama a Milano. negli anni lontani del Medioevo, con delizie che seducevano il palato. Il luogo non aveva nome, non era via Comacchio. non era neppure una strada, era un punto, un frammento.
Qui lei aveva casa. Un tavolo. Un focolare. Tutto quello che le serviva. I prodotti di tutti i tipi non mancavano certo nella Milano d’allora. Le merci provenienti da tutta la penisola e fin dal Mediterraneo arrivavano in città lungo la via Emilia, tracciata fin dal 190 a.C.; i prodotti della campagna padana arrivavano invece percorrendo la Strada Paullese, del I secolo a.C.
Il mercato era in parte all’incirca nell’area che oggi tu puoi riconoscere in Corso XXII Marzo, in parte nell’area di quella che oggi è detta via Lombroso.
Lei, la cuoca, era giovane, minuta, bionda. Veramente, proprio bionda no: tinta di biondo, ecco, unico suo vezzo; allora questo risultato lo si otteneva grazie a un impasto di grasso animale e cenere di faggio.
Non aveva concesso a nessuno il suo cuore, ammaliata solo dalla sua passione: il cibo, la cucina, far da mangiare. inventare nuove pietanze, unire ingredienti e condimenti, per godersi le espressioni di golosa meraviglia di chi si portava alla bocca bocconi della sua fantasia.
“Basilico, prezzemolo, aglio, cipolla, zafferano, zenzero, cannella. Non ne essere mai senza in cucina, erbe odorose e gusti forti rinvigoriscono i sapori, fanno sognare terre lontane, che mettersi a mangiare non vuol dire riempire lo stomaco e poi andare. No, vuol dire lasciarsi conquistare, il gusto deve portare con sé visioni e memorie, cose mai viste e con la bocca piena invece finalmente immaginate.”
“Lascia dorare la pernice prima di farla cuocere nel brodo, arricchirai così il suo sapore. Scotta sulla griglia la lepre, prima di cuocerla in umido; sarà croccante circondata dalle onde del suo intingolo. E l’intingolo l’avrai posto sul fuoco al mattino presto, appena dopo il tuo primo segno di croce.”
“Abbiamo la fortuna d’aver poco distante fitti boschi di querce e questo vuol dir branchi di maiali, e quindi lardo, perfetto per il fondo di cottura delle carni. Grattane un poco con il suo attrezzo, il lardatoio, darà sapore e condimento, non dovrai affliggerti per l’alto costo del burro. potrai non usarne.”
E da quella che oggi è via Comacchio, passo passo se ne andava sino a quel punto che nomini Castagneto, nei pressi di viale Bacchiglione. A raccogliere le castagne. “Essicale al sole per conservarle più a lungo, e mangiale lessate, arrostite, accompagnate alla ciotola del latte.”
La prima donna a saper fare il formaggio. “Dicono che ci vorrebbero mani di donna a strofinare la crosta? Sono una donna. Ma non solo quello faccio. Ho imparato a dosar sapientemente il caglio, il sale. E ho inventato un nuovo tipo di formaggio, a pasta molle. Tengo una capra perché mi piace il suo latte un po’ salato, e quel latte caprino l’ho messo a cagliare con lattice di fico e l’ho fatto rassodare in cesti di giunco. A dire il vero, e senza voler montare in superbia, sembra che in città mai nulla di così gustoso si sia assaporato.”
È ancora lei che prova a mettere sul fuoco un’assoluta novità. È il giorno del suo compleanno, l’anno è il 1230. Importato dalla Cina, è arrivato il riso. ”Voglio regalarmi una sorpresa. Lo provo per me, per il mio desco. Lo assaggio bollito, condito con burro, condimento ricco, oggi voglio esser dama. E’ buono, il riso piacerà, avrà fortuna nelle nostre terre questo cibo.”
Infine, fra i fogli ritrovati nella cassettina, parte del diario di quella giovane cuoca che affidava alle pietanze la gioia della sua vita, anche la ricetta di un liquore, un po’ di magia per veder arrivare, chissà, un vero amore.
“Per fare il Nocino di San Giovanni, che dicono a berne un sorso nel centro delle ore della notte si raggiunge la fortuna nelle nozze, devi raccogliere all’epoca loro noci verdi e immature in numero di 39, non una di più non una di meno, ché è numero di magia. Dovrai spezzarle in distillato e lasciarle riposare aggiungendo qualche pizzico di cannella.
Dopo 65 notti e 65 giorni lo filtrerai, aggiungerai lo zucchero, lo lascerai di nuovo riposare per 13 giorni, e in quei 13 giorni penserai alle ragioni del tuo cuore, e finalmente ne berrai.”
L’hanno tanto ostentato il ritrovamento, il Medioevo giunto fino a noi, come se non si sapesse che questa nostra zona è foriera di meraviglie!