Lo speziale, un mondo a parte. Passa lungo via Piranesi; circa a metà, un millennio or sono ti saresti trovata davanti la bottega dello speziale.
Lo vedi? Due ambienti: nel primo locale si vende, c’è un lungo bancone di legno sopra il quale ci sono le bilance con i pesi, alle pareti le scaffalature con tutti i contenitori per conservare i preparati: vasi di terracotta per sciroppi e unguenti, scatole di legno per serbare le erbe medicinali e le spezie, calici d’argento per somministrare le medicine. Nell’altro locale, il laboratorio. Fornelli, treppiedi, caldaie, mortai in marmo o di bronzo per triturare, strumenti per setacciare e distillare, torchi per separare la cera dal miele, per ricavare olio dalle mandorle. Padelle, mestoli, acqua distillata.
“La bellezza. Questo vogliono da me: che la conservi, che la accentui. Le donne mi distraggono dai miei studi. Olio di mandorle, mandorle in crema o unguento, per la lucentezza della pelle, perché sia seta sotto le dita. Mandorle, mentre io dovrei occuparmi delle erbe così preziose per conservare la salute e a volte anche salvare la vita, rimedio di ogni sofferenza. Ogni prodotto è composto da dieci e più ingredienti, i miei gesti devono essere perfetti durante le molteplici operazioni di lavorazione, Io e io solo devo risponderne davanti all’autorità medica. Non certo il mio garzone di bottega, che le donne confondono con dita agili sotto il suo naso ad indicare questo o quel contenitore. Invoco Dio, lo supplico umilmente di benedire le erbe raccolte da me per uso medicinale, affinché coloro che prendono pozioni fatte con esse o applicano sulle ferite unguenti sempre da erbe composti ottengano la salute. Non ho nulla contro le mandorle, anzi a loro devo il migliore fra i rimedi contro l’ubriachezza. Ma non voglio che si confonda la mia bottega con un luogo di magia e di fattura; per la loro forma, sembrano pronte ad aprirsi nell’atto di generare la vita, le mandorle vengono usate nelle ricette afrodisiache e nei filtri d’amore.
E io non voglio che le giovani vengano da me ad acquistarle per poi andare alle feste in piazza, e darsi alle danze, ai sollazzi, alle burle, ai banchetti organizzati all’aperto. Ad aspettare, lo so ben io…
Certo, c’è sempre qualcuno pronto a vender fantasticherie, a mescolar farina di mandorle con acqua piovana e a far credere d’aver così provveduto a stringere un patto con la fortuna in amore.”
Com’è diverso questo speziale, grassoccio, sempre indaffarato, che parla e parla e si lamenta eppure ogni cliente lo considera un amico e la sua bottega e il suo garzone son come figli; e a lui si rivolge il mercante di passaggio che della zona saprà tutto alla fine della chiacchierata, e la vecchietta che dei dolori in fondo non se ne ricorda più, presa in mezzo a un gorgo di parole che dicono di erbe, di pioggia, di sole, di candele, e di ricette segrete.
Com’è diverso dal suo predecessore, la cui fama dalla nostra zona si era diffusa in tutta la città. Magro, alto, silenzioso. Mantello nero d’inverno e d’estate. Di poche parole, meglio nessuna.
Gli occhi, ecco, come nessun altro. Una luce d’ambra in un volto pallido, austero. Le labbra serrate, come a tener sigillato il racconto di un dolore antico.
“Quattro sono gli elementi: aria, acqua, terra, fuoco. Dodici sono le reazioni che dagli elementi si possono ottenere. Come dodici dovrebbero essere le entrate di un castello. Il nostro palazzo è la nostra sapienza.”
In molti seguivano le sue lezioni, raggiungevano da ovunque la nostra zona pur di ascoltare i suoi insegnamenti, sintetici e mai ripetuti.
Al termine, un’occhiata ad ogni presente con quei suoi incredibili occhi d’ambra, li congedava, chiudeva la bottega, e con il mantello nero svolazzante si allontanava. Verso dove? Nessuno ha mai saputo dove abitasse, dove trascorresse le sue notti. In un luogo tutto suo, solo suo. Impegnato a decifrare il segreto delle formule, a interpretare gli influssi astrali, nella perfetta solitudine dei suoi esperimenti.