Casa Manzoni Milano è dove Alessandro Manzoni, il Grande Lombardo, come lo definì Testori, abitava: dietro a Palazzo Marino in via Morone al civico 1.
La casa di Alessandro, di Enrichetta, dei loro figli, e della madre Giulia.
Ha un costo impressionante, la palazzina; siamo nel secondo decennio dell’800 e la somma è di 106.000 Lire, una cifra che verrà pagata a rate. Ma per lo scrittore è meraviglioso il silenzio ed è straordinario il giardino “nel quale avverto sentore di chiostro ed è la mia pace”
È quella la casa che sente finalmente autenticamente sua.
Dove Manzoni vive, dove scrive. Perché è questo il senso della sua esistenza.
Scrivere. L’unica salvezza dall’inquietudine vaga, dai disturbi nervosi, dall’ansia, dai momenti di sconforto. Anche Enrichetta Blondel – la diciassettenne timida e riservata che diventerà sua moglie nel 1808 – ha mille malesseri, è precocemente sfiorita a causa delle numerose gravidanze, ma proprio nella cura dei figli e nella dimensione domestica ha il suo rifugio.
Per Alessandro l’asilo sicuro è il romanzo a cui, chiuso nel suo studio di casa Manzoni o mentre passeggia in giardino, dedica tutto se stesso. “I Promessi Sposi” che diventerà opera universale.
Dal 1821 al 1827 Renzo e Lucia diventeranno la sua famiglia, il Seicento il secolo nel quale vivere. Il romanzo viene pubblicato. Ecco, Alessandro Manzoni ha compiuto la sua opera, ha dato forma al suo destino. E come lo accolgono i milanese? Da una pagina del diario di Clara Maffei:
Eravamo ai Giardini Pubblici e Don Alessandro osservava tranquillamente alcuni fiori, quando venne riconosciuto e qualcuno incominciò a sussurrare – E’ Manzoni! –
La gente si affolla, siamo in breve circondati da uomini donne fanciulle, che volevano stringergli la mano. Don Alessandro sarebbe scappato sottoterra; rosso in viso, turbatissimo, incominciò a distribuire strette di mano.
Sublime pagina, l’Addio ai monti!
E meravigliosa creatura Lucia, è così che appare agli occhi e al cuore del suo creatore.
I lettori fanno la sua conoscenza nel momento in cui è pronta per il matrimonio, agghindata, i capelli racconti in molteplici cerchi di trecce fermate da lunghi spilloni d’argento, con le calze vermiglie, le pianelle con ricami di seta, la collana di granati alternati a bottoni d’oro lavorati a filigrana.
Lei, figura lieve, angelica, privilegiata dal tocco della grazia divina. Anche il suo nome è sacro, non va pronunciato da lingue sguaiate. Don Rodrigo dirà “La voglio”. L’Innominato dirà “Colei”.
Diversa la sorte di Renzo Tramaglino, che non ha vita facile nel romanzo. Deve fuggire, abbandonare il sogno di un sereno futuro coniugale, e mentre fronteggia il suo difficile destino non sospetta neppure che la sua futura sposa ha fatto voto di castità.
Per Lucia si muove il Cardinal Federigo; su Renzo – che si ubriaca e viene scambiato per un untore – cade una pioggia di insulti “pezzo d’asino, tanghero e manigoldo”.
È inseparabile da Manzoni, Lucia. Entrambi, l’uno nella realtà, l’altra nella fantasia, vivono in spazi circoscritti. Il giardino di casa Manzoni in via Morone è serrato perché il silenzio sia inviolabile. Lo spazio prediletto da Lucia è la casa dove abita con la madre Agnese, separata dalla strada da un muricciolo e un po’ fuori dal paese.
Probabilmente da Lucia, Alessandro Manzoni non si separerà mai, neppure dopo aver concluso la sua sublime, faticosissima vicenda artistica fra infinite correzioni e migliaia di modifiche.
La sua vita terrena si conclude il 22 maggio 1873.
Da quel momento l’autore e il suo romanzo entrano nella leggenda.