Mary Shelley e Lord Byron si trasferiscono in Italia nel 1818, Paese che ben accoglieva gli esuli politici come loro. Un’esperienza positiva l’Italia e assai proficua dal punto di vista intellettuale e creativo. Mary Shelley, nata Mary Wollstonecraft Godwin, vede la luce a Somers Town, Londra nel 1797.
Figlia di Mary Wollstonecraft, antesignana del femminismo, e dello scrittore politico William Godwin. La madre fu la prima donna nella storia a scrivere sui diritti delle donne e ancora oggi il suo testo è considerato una delle pietre miliari del femminismo.
Per Mary i due incontri fondamentali sono stati quelli con il marito, il poeta Percy Bysshe Shelley
e con Lord Byron, uno dei massimi poeti del periodo Romantico .
Sarà proprio durante una piovosa estate trascorsa nella villa di Byron in Svizzera
che Mary scriverà la sua celebre opera Frankestein, che quest’anno compie 200 anni.
Ricorrono invece, sempre in questo 2018, 230 anni dalla nascita di Byron (1788).
Nell’ottobre del 1816 sono arrivati a Milano importanti personalità straniere, e Ludovico da Breme ha organizzato una cena nel suo palazzo per festeggiarli e accogliere con i dovuti onori l’ospite più prestigioso, il più celebre poeta d’Europa, Lord Byron. Questo l’invito a uno dei milanesi più considerati, Vincenzo Monti:
Alcune circostanze di famiglia non mi lasciano nella settimana altro giorno che dimani, giovedì. Si cena alle ore sei. Tengo l’invito per accettato e v’abbraccio col più fervente affetto.
Per i romantici milanesi Vincenzo Monti è un mito; se ne ricordano le lezioni pavesi con l’aula presa d’assalto dagli studenti che irrompevano dalle porte e sinanco dalle finestre scavalcandosi gli uni gli altri. Quando poi parlava dell’amore di Dante per la patria e la libertà, era tale l’entusiasmo che sapeva destare nella elettrica gioventù, che tuoni d’applausi scoppiavano nella sala e poi fra le acclamazioni lo conducevano a casa. All’ammirazione non faceva velo l’instabile diagramma delle scelte politiche del poeta. Ludovico di Breme introduce l’ospite: “Signori, Lord Byron!”. Ecco quell’uomo. Piuttosto piccolo, di cui si dice, e molto, e non molto bene. Aveva scandalizzato l’Inghilterra con l’abbandono di moglie e figlia, era stato accusato d’incesto con la sorellastra, aveva irritato il principe reggente satireggiandolo in modo sanguinoso. Proprio in quel 1816 aveva lasciato l’Inghilterra per sempre. Prima del suo arrivo in Italia, era stato a lungo a Ginevra, ospite di Madame de Staël, e lì aveva conosciuto Miss Claire Clermont, la sua nuova fiamma, che gli aveva dato una figlia. Rimaneva comunque il più celebre poeta d’Europa. “Possiamo pregarvi d’un verso almeno, Lord Byron? Ascoltare anche solo un frammento di quanto produce il vostro ingegno…”.
“E sia, amici cari, sconosciuti ma amici per la vostra accoglienza, per questo attorniarmi con simpatia. Eccovi un breve momento del primo canto de Il Corsaro”. “Or dov’è il nostro Capitano? Messaggio Abbiam per esso, e dubitiam non breve Abbia durata questa festa al nostro Ritorno sacra – Ma che puote avvenga – E’ sincera e n’è cara – Orsù Juan, guidaci tosto al Capitan – compiuto Nostro dover, festeggerem noi poscia Nostra venuta, e udrà ciascuno allora Ciò che udir brama.”
Fra i suoi accompagnatori alla cena, anche il giovane poeta Percy Bysshe Shelley con la moglie Mary a sua volta autrice del romanzo Frankestein.
Mary Shelley indossa un abito di velluto blu scuro, è il modello più in voga, una veste-mantello che dalla vita scende e forma una lunga coda e la scollatura, bordata da margherite ricamate in color avorio, parte dalle spalle parzialmente scoperte e scende verso il seno in forma tondeggiante. Unico gioiello, un medaglione ovale in oro cesellato, trattenuto da una catenina d’oro e fra i capelli un pettinino sopra l’orecchio destro, a trattenere i boccoli.
“Veramente bello l’abito che indossate” le rivolge il complimento la commensale più vicina mentre anche altre due signore annuiscono con garbo. “Grazie, l’ho acquistato proprio qui a Milano, in un piccolo atelier molto grazioso, in un palazzo accanto al Teatro alla Scala; ne ho visto il disegno e me ne sono innamorata. Mi hanno anche presentata la ricamatrice alla quale affidano i ricami dei loro modelli; pensate, mi hanno detto che lei e le sue lavoranti ricamano tutti i panni liturgici dell’altare e tutti i paramenti dei sacerdoti per la chiesa di San Fedele”.
Altri invitati, il banchiere Mirabeau, Silvio Pellico che non dirà una parola nel corso di tutta la serata, qualche uomo d’arme, Stendhal, e naturalmente Vincenzo Monti di cui si dirà: “Il maggior poeta italiano della nostra epoca, ha una fisionomia molto espressiva, tutta la sua persona è imponente, però è sordo come una campana. E quando si conversa, Monti si scaglia contro chiunque”. Al termine della cena, tutti a teatro.
E Ludovico da Breme confida a uno degli ospiti: “Non è più il Monti di una volta, io lo venero come fosse il suo ritratto”.