Per Suor Virginia e il suo amante si aprono le porte della prigione. Riprendiamo il racconto con la seconda ed ultima parte di questo dramma.
Il Governatore di Milano, Conte Fuentes, ordina che l’Osio venga condotto nelle prigioni del Castello di Pavia per essere interrogato sulle voci che dicono di scandalo e di morte. L’oscura vicenda sollecita anche l’attenzione del Cardinal Federigo Borromeo. E così nel buio e nel silenzio della notte, per evitare ulteriore scandalo, suor Virginia accompagnata da due gentildonne e da due sacerdoti, viene traferita a Milano per essere interrogata proprio dall’ Arcivescovo. Osio nel frattempo è riuscito a fuggire dal Castello di Pavia ed è tornato a Monza. Innanzitutto regola i conti con lo speziale sopravvissuto all’ aggressione, pericoloso testimone di scelleratezze; questa volta non sbaglia mira, lo ritroveranno morto sulla strada. Quindi viene a sapere che arriverà da lì a poco il Vicario nominato dal Cardinal Borromeo per gli interrogatori alle monache. Perciò deve riuscire a convincere le suore complici sue e di Virginia a fuggire con lui. Suor Ottavia e suor Benedetta accettano, pur terrorizzate da lui ma altrettanto dagli interrogatori che inevitabilmente le aspettano. L’uomo però non le ha condotte con sé per la loro salvezza. Deve liberarsene, anch’ esse sono testimoni da ridurre al silenzio. Appena arrivati sul Lambro, inizia l’orrore. Ottavia viene colpita con il calcio dell’archibugio e gettata nel fiume. Poco più avanti, Benedetta viene colpita a sua volta e gettata in un pozzo.
La prima, recuperata dalle acque del Lambro, morirà dopo tre giorni. Prima di spirare affiderà la sua confessione ad un sacerdote. Benedetta verrà trovata da alcuni contadini che avevano sentito dei gemiti provenire dal pozzo.
Confesserà tutto sotto tortura, così come suor Silvia e suor Candida Colomba che non erano fuggite con l’Osio ma che in convento verranno raggiunte dagli inquirenti. Inizia il processo a Suor Virginia, nata Marianna de Leyva.
“Nel chiostro del convento, il cortile maggiore è tutto circondato da porticati, il parlatorio sfonda nel cortile con una porticina che conduce infine nella sacrestia. C’è un’altra porta a oriente che dà su altra corte e sul pollaio, poi ci sono il refettorio, le stanze delle madri, le stanze delle educande. Nel giardino ci sono alte piante, dalle quali non si può intendere la luce del sole, solo una cosa si vede fra i rami, il giardino della casa degli Osii”.
Prosegue.
“Giò Paolo era nel giardino, io mi trovavo nella mia camera, e sento la sua voce che dice – Vi vedo, ma si potria mai veder più bella cosa? – Io cercai di non lasciami neanco vedere, poi però quello stesso giorno presi ad andare diverse volte a detto finestrino per vederlo senza lasciami vedere da lui. E continuai a sentirmi nei giorni ormai trasportata da quella tentazione, al punto che dimenticai in quella settimana le quaranta ore al Vespro.”
Successiva testimonianza.
“Nonostante le orazioni, le discipline, le punizioni fisiche che mi infliggevo sino a raggiungere il sangue, come fossi portata dal diavolo, cercai sempre di rivedere l’Osio e di avere e riavere con lui commercio carnale, più e più volte che non so dire quante.”
Il lungo processo a suor Virginia si conclude con una sentenza terribile. La pesantissima condanna alla carcerazione perpetua nel Ritiro delle Convertite di S. Valeria a Milano, istituzione religiosa che dava asilo alle ex-prostitute redente. Carcerazione che impone che venga murata viva in una cella di due metri e mezzo per uno e mezzo, solo con una piccola fessura per passarle il cibo e una piccola feritoia per l’aria.
Resisterà 14 anni in quel buio e in quella atroce solitudine, infine graziata proprio dal Cardinal Borromeo. Semicieca, deformata dall’ artrite, incredibilmente vivrà ancora a lungo e morirà nel 1650 a 74 anni. E Gian Paolo Osio? Viene condannato alla forca, prima però:
“Lo si conduca con un carro davanti al Monastero di Santa Margherita nella città di Monza, dove ha compiuto l’atto sacrilego.
Lì davanti gli venga tagliata la mano destra, poi sia condotto al luogo dell’esecuzione della sentenza e venga torturato con tenaglie ardenti; infine sia appeso alla forca perché muoia. Il suo cadavere sia tagliato a pezzi e ogni pezzo appeso nei luoghi dove ha commesso i delitti, a perpetuo monito.”
Ma ancora una volta riesce a fuggire. A Milano raggiunge il palazzo (oggi Palazzo Isimbardi) di proprietà d’un amico, il conte Lodovico Taverna, fedele compagno di baldorie e di peccati. E’ certo d’aver trovato rifugio sicuro. Invece proprio l’amico lo tradirà. Osio verrà condotto nei sotterranei e verrà ucciso a bastonate dagli sgherri del conte.
Che forse desidera ottenere qualche favore dal Senato di Milano, al quale avrebbe potuto dimostrare d’essere cittadino esemplare anche nel servire la giustizia. O forse è ingolosito dalla taglia di ben 1000 scudi che pendeva sulla testa del fuggiasco.