La Fiera di Oh bej! Oh bej!
…. E’ pomeriggio inoltrato ed è già buio, del resto a Milano d’inverno viene buio presto. Mille bancarelle, odori intensi, profumi, folla che spintona da parte a parte, prima di buttarti nella mischia devi scegliere il lato delle bancarelle da guardare, l’altro lo si farà al ritorno, che andare controcorrente neanche a pensarci.
La nonna le stringe la mano fino a farle male ma non può permetterle di allontanarsi, la perderebbe in un istante.
Lei è ubbidiente e poi sa che a breve le arriverà un regalo.
Meglio, il regalo, quello che aspetta da un anno, dalla precedente fiera degli Oh bej! Oh bej!
Pochi passi ancora, ed eccolo il tavolinetto al quale l’uomo è seduto, con davanti un marchingegno rumoroso che termina con una specie di matita che l’uomo stringe fra le dita. Accanto, disposti in bella fila ordinata, tanti bicchieri di forme diverse.
“Quale vuoi?”, le chiede la nonna.
Con il piccolo indice puntato come una lancia lo indica, è quello il bicchiere che da un anno accarezza nei suoi sogni. Non molto alto, con il basamento e lo stelo d’azzurro intenso che va scemando mentre il vetro ormai trasparente si alza e si dilata in una coppa a forma di corolla di fiore.
L’uomo lo afferra, gesti ripetuti mille volte per accontentare bambini, genitori, innamorati, e tenendo ben fermo il bicchiere avvia il marchingegno.
“Come ti chiami?”. “Renata”.
La strana matita incide il vetro, procede fra ghirigori e svolazzi mentre lei non gli toglie gli occhi di dosso.
“Eccolo, tutto tuo”.
Il suo nome inciso nel vetro, scritto come un ricamo.
La meraviglia del regalo tanto atteso è nelle sue mani.
Adesso lei e la nonna possono continuare la passeggiata in mezz al baccan e a la calchera de la fera.
Bancarelle cariche di giocattoli, i belee vecchi e nuovi da cui i bambini dopo infinite soste devono essere allontanati a forza; la pomposa tenda dell’antiquario che grida e squarciagola “a chi vosa se da a trà” e che offre lampadari polverosi, catini di maiolica con il treppiede in ferro battuto, una vecchia borsettina da teatro piccola quanto una mano tutta ricamata con perline color cipria, pentoloni in rame per cuocere la polenta “che nelle case dei signori diventano fioriere di lusso e per far fare bella figura anche a voi li vendo a un prezzo da matto, da rimetterci”. I fironàtt a offrire i firòn, le collane di castagne con i marroni cotti al forno e incisi per farci passare lo spago che li tiene uniti, o le castagne arrosto, il cartoccio fatto con il foglio di giornale avvolto a cono. Dita unte che afferrano krapfen bollenti – i dolci fritti di pasta lievitata – e li consegnano a clienti pronti con le monete in mano; lo zucchero filato, una nuvola bianca fatta di zucchero e d’aria che a metterci la bocca il boccone vaporoso è già svanito prima di riuscire ad assaporarlo. La bancarella dei libri usati, vecchi atlanti, romanzi, libri per bambini con le figure. Un tavolino piccolo e accanto l’uomo che offre la meraviglia delle palle di vetro con all’interno un minuscolo Duomo, o una fata, o due gnomi, o Babbo Natale con la slitta; basta scuoterle appena e la neve riempie la palla di vetro per andare poi lentamente a posarsi di nuovo sul fondo.
Il freddo sulla faccia, invisibili goccioline gelate che vorticano nell’aria della sera, e laggiù la mole della basilica.
Per tutto il giorno si sono susseguite le Messe; le note dell’organo hanno accompagnato la voce potente del coro, mentre al mattino l’Arcivescovo con i paramenti sacri sfarzosamente ricamati ha percorso lentamente tutta la navata fino all’altare dove avrebbe celebrato la funzione solenne nel nome e nel ricordo di Sant’Ambrogio.
(Tratto da I Magi in piazza Duomo di Giovanna Ferrante)