“L’optimum del giornalismo coincide con l’optimum della letteratura”.
Questo affermava Dino Buzzati, esemplare giornalista e narratore.
Ne sono testimonianza gli articoli del giornalista che hanno la stessa struttura e qualità delle pagine dello scrittore: i fatti di cronaca e l’immaginazione racchiusa in un libro, sono due momenti della stessa intensità del suo linguaggio.
Si può dire che vivesse al Corriere della Sera, dalle otto alle 20 la redazione era la sua casa, quando ovviamente non era in giro per il mondo, corrispondente di guerra o inviato speciale che dettava i suoi articoli al telefono.
E nasce proprio al Corriere il suo capolavoro “Il Deserto dei Tartari”.
La grande stanza della redazione dove ci si dedicava al severo compito di stesura degli articoli sotto l’inflessibile attenzione del capo-servizio, sembrava a Buzzati la rigida quotidianità della vita militare; così l’intero edifico di via Solferino diventa la Fortezza Bastiani e lui incarna il tenente Giovanni Drogo che fissando la landa tutta intorno “sentirà il battito del tempo scandire avidamente la vita”. Frase che riporta ad una confessione di Buzzati ad un amico “I mesi passavano, passavano gli anni e io mi chiedevo se sarebbero andati avanti sempre così, le speranze e i sogni si sarebbero atrofizzati poco a poco, tutti trasportati dallo stesso lento fiume”.
Ecco il lancinante senso d’attesa che pervade i protagonisti del romanzo. Un romanzo straordinario che si ha il dovere di leggere e rileggere.
Ognuno di noi, con onestà, può affermare di essere il tenente Drogo; ognuno di noi, con onestà, nel proprio quotidiano può ritrovare la Fortezza Bastiani nel luogo domestico o nel luogo di lavoro.
Un capolavoro “Il Deserto dei Tartari” affidato ai lettori nella primavera del 1940, dopo due anni di stesura dal 1938 al 1939. E consegnato alle generazioni successive e a quelle che verranno dopo di noi.
Giovanna Ferrante