DUE NOVEMBRE
“Laudato sii, mio Signore, per sora
nostra Morte corporale;
dalla quale nessun uomo vivente
può scampare…”
(San Francesco – Cantico delle Creature)
Perché?
Perché la morte?
La nostra. Quella delle persone a noi care.
Dopo una lunga devastante malattia oppure improvvisa come un atroce strappo, la morte pone fine ad affetti, progetti, speranze, presente, futuro.
A chi resta rimane il dolore della desolante impotenza di fronte all’evento estremo, il baratro della solitudine del cuore.
Nessuno è mai tornato dal tempo perpetuo a raccontarci se esiste veramente quell’istante infinito che chiamiamo vita eterna.
Quello di cui invece tutti abbiamo fatto esperienza è l’assenza. Lo strazio di quel vuoto che riempiamo con tutti i ricordi, con tutte le fotografie, con tutte le parole e i gesti che hanno accompagnato il quotidiano condiviso fra noi e chi non c’è più.
Pure, la morte non è solo ciò che ineluttabilmente è, ma muta durante il percorso dell’esistenza, come il sorgere di una coscienza che consente un’intima comunicazione con i propri morti e il generarsi d’una consapevolezza che esiste qualcosa di assoluto nel quale andrà ad ascriversi il senso della nostra morte.
Non si cancella il dolore e l’angoscia, ma emerge anche il più forte desiderio dell’essere umano che è l’adempimento della vita, l’anelito a un compimento finale: perché questa speranza, se non ci fosse dopo la morte una realtà capace di esaudirla?
Nel cammino entro l’aspra sofferenza del lutto e nella misteriosa attesa che si giunga al confine ultimo della vita, c’è Dio.
“E’ buio dentro di me, ma presso di Te c’è la luce”
(Dietrich Bonhoeffer)
Giovanna Ferrante