Rudolph Nureyev e Milano. Città moderna e internazionale, città di cultura, che esprime il proprio amore per l’arte anche attraverso l’attenzione dedicata al Balletto classico. Portavoce di prima grandezza ovviamente il Teatro alla Scala, ma non solo, perché si moltiplicano i luoghi e gli eventi dove il Balletto è protagonista.
Come il FlashMob di Roberto Bolle che in Piazza della Scala, insieme al Corpo dei Ballerini scaligeri ed alcuni street dancer, ha festeggiato in modo insolito, il 29 aprile, la Giornata Mondiale della Danza; ed è attesa la sua performance “On Dance Opening Show” al Castello Sforzesco in Ggiugno. L’omaggio milanese a Nureyev.
Nel regno del balletto, l’assoluta protagonista è sempre stata la ballerina. Poi sulla scena è apparso un autentico innovatore della coreografia, Rudolph Nureyev. Con lui la danza e la tecnica maschile acquisteranno una diversa visibilità, infrangendo il ruolo secondario limitato ad esaltare le capacità della ballerina.
Rudolf Nureyev nacque nel 1938 su un treno della Transiberiana. Il 17 marzo avrebbe compiuto 80 anni. Il suo straordinario talento, la sua dedizione assoluta, lo consacreranno come il più grande ballerino del Novecento. Dell’infinito immenso talento di Nureyev, dei suoi trionfi, conosciamo tutto.
È commovente scoprire la forza della sua passione, rileggendo qualche frammento di ciò che scrisse a proposito della danza in una lettera-testamento sul finire della sua tragicamente breve vita:
La mia vita era racchiusa in un villaggio. Non potevo permettermi il sogno di diventare ballerino, eppure finalmente ero lì, alla scuola di danza, con il mio corpo che si apriva alla musica, con il respiro che mi portava sopra le nuvole. Era il senso che davo al mio essere, al mio esistere, era stare lì che rendeva i miei muscoli parole e poesia. Danzavo perché mi era impossibile non farlo, impossibile non perdermi nella musica, non provare passi nuovi alla sbarra davanti agli specchi. Ho danzato perché era il mio credo, il mio bisogno, le parole che non dicevo, la mia fatica, la povertà, il pianto. Io ballavo e avevo l’universo fra le mani, la mia mente ubriaca del mio corpo che catturava l’aria. Circondato da quella poesia che solo la sublimazione dell’arte può dare. So che sto morendo, l’unica cosa che mi accompagna è la mia danza, io danzo con la mente, volo oltre le mie parole e il mio dolore. Ringrazio Dio per avermi dato un corpo per danzare cosicché io non sprecassi neppure un attimo del meraviglioso dono della vita.