E la Stazione Centrale aveva visto nascere una storia d’amore destinata a durare.
Il suo negozio lei lo aveva in Via Dogana, pieno centro, ma la sua vita era alla Stazione Centrale. Per forza, il suo unico, incredibile amore era un ferroviere.
Unico, perchè mai aveva amato.
Incredibile, perchè ormai oltrepassata la soglia della quarantina, era assolutamente certa che la sua vita fosse definitivamente disegnata entro i confini del lavoro, della casa, dei rapporti con i fratelli e le sorelle, delle vacanze con le amiche, dell’aperitivo con qualche amico che passava in negozio verso l’ora di chiusura e insieme poi andavano in Galleria.
Era una donna dotata di fascino, ma il fascino del capo, non quello della sirena; qualche anno prima aveva deciso di prendersi quel negozio, un’attività che da anni collezionava fallimenti, e la sua era stata una sfida non solo una operazione commerciale, era certa che avrebbe saputo farlo funzionare. In pochi mesi era diventato il punto di riferimento degli uomini eleganti della città. Camicie, cravatte, pigiami, giacche da camera.
C’era un conte che ordinava dodici camicie per volta, fatte su misura, e poi le mandava a ritirare da un cameriere, ma il giorno successivo arrivava personalmente con una bottiglia di champagne per brindare a lei e alla sua personale soddisfazione di cliente servito con preziosa cura.
C’era un ricco industriale che la corteggiava con discrezione, nessuna speranza per lui, ma allegra gratitudine per le splendide scatole di marron glacèes guarnite di poetici mazzolini di violette di zucchero.
C’era il signor commissario che la trattava da pari a pari, forse in lei vedeva un’altra istituzione cittadina.
Donna sola a capo della sua attività, donna sola nella vita, che da sola si era comperata un appartamento, si era regalata una pellliccia, infine era entrata in gioielleria e aveva scelto per sé un anello con brillante, montatura cestello, come si usava in particolare per un fidanzamento. Perché, lei che il fidanzato non l’aveva, avrebbe dovuto privarsi di un anello che le piaceva così tanto?
Un fidanzato. Non le pesava il fatto di non averlo, non aveva mai ardentemente desiderato il matrimonio. Anche se a volte sentiva il bisogno di qualcuno accanto, una parola, un abbraccio, la tenerezza di un gesto che tutto comprende. Dopo tanto navigare attraverso il mare della vita, a volte calmo a volte in tempesta, c’erano giorni che le pareva di aver voglia di arrivare in un porto: una casa, un uomo, appartenere a qualcuno, qualcuno che si occupasse di lei, che governasse al suo posto la navigazione, che la viziasse un po’, che la emozionasse con la sconosciuta tenera meraviglia dell’amore. Ma erano solo momenti, passavano, e lei veniva restituita alla sua vita di sempre, nella quale ci stava così bene.
Non tanto alta, grassoccia, capelli biondi, occhi chiari, lineamenti marcati, attraversava la vita con piglio deciso, sicura di sé, ottima amica tanto da averne intorno una corte di amiche e di amici, buona forchetta, pronta alle feste, generosa con tutti e altrettanto felice di ricevere regali.
Coraggio da vendere, nessun timore a rientrare sola la sera tardi, magari una di quelle sere milanesi piene di nebbia da non vedere neppure i contorni della casa al di là del marciapiede.
Oppure come quella volta che era entrato un ladro in negozio.
Tra i negozianti si diceva ormai da qualche settimana che in centro si aggirava un giovane uomo svelto come un illusionista che mentre parlava con il commesso faceva sparire qualcosa della mercanzia esposta; non aveva mai tentato di rubare i soldi della cassa, afferrava quello che c’era sotto tiro.
“Stai attenta Margherita, quello sotto la giacca si infila un pigiama dei tuoi più costosi e chi si è visto si è visto…”
“ Sarà difficile, te lo assicuro. Non preoccuparti”
Una sera era arrivato. Lei lo aveva capito subito, intuito più che certezza. Si era guardato attorno, erano soli. Le aveva chiesto di vedere delle cravatte, le ne aveva disposte su bancone una decina, poi lui le aveva chiesto un pigiama – “ Di colore scuro” – aveva aggiunto. Non era un modello particolarmente richiesto, lo teneva nello scaffale in alto, da raggiungere salendo sulla scala.
Era ridiscesa con la scatola del pigiama, l’aveva appoggiata sul bancone con gesto normale, intanto uno sguardo rapido, e con mossa fulminea aveva afferrato il bavero della giacca dell’uomo.
“Cosa vuoi? Chiamo la polizia o mi restituisci la cravatta? Guarda. ti faccio un favore, me le riprendo io”.
Quattro, ne aveva rubate quattro, infilandosele fra la giacca e la camicia.
Gliele aveva tirate fuori mentre lui restava a guardarla un po’ stralunato, poi aveva spalancato la porta del negozio e se l’era data a gambe.
Quella sera in Galleria, aperitivo con brindisi “alla Margherita”.
Ma tutto questo apparteneva alla sua vita precedente.
Perché adesso c’era il suo ferroviere. Certo, continuava a lavorare, i clienti, gli amici, casa sua, il solito insomma, ma tutto come velato, nitida solo la loro immagine, loro due nella bolla di sapone della loro felicità.
Era andata a prendere un cugino di passaggio a Milano. Sarebbe arrivato a mezzogiorno, si erano accordati per pranzare insieme al ristorante della Stazione Centrale, poi lui sarebbe andato al suo appuntamento, lei sarebbe tornata in negozio.
“Scusi, qual è il binario d’arrivo del treno da Sondrio?”
Forse lui le aveva risposto. Forse. Perché lei aveva visto solo i suoi occhi neri, il suo sorriso.
Forse lei gli aveva fatto una domanda. Forse. Perché lui aveva visto solo il suo sguardo, quel viso che non poteva conoscere eppure aveva riconosciuto come quello di una persona a lungo cercata.
Mi rende felice ricordare questa storia, dicono di me che sono la città del lavoro, degli affari, della finanza; non è vero, non solo almeno, sono anche una gran romantica!